mercoledì 7 dicembre 2016

IO E ALBERTO LUPO



ALBERTO LUPO
(1924-1984)

Negli anni Sessanta-Settanta fu il personaggio più popolare della nostra tv, posizione confermata da un referendum fra i telespettatori. Merito soprattutto della Cittadella (1964) di Cronin-Majano in cui Alberto era il dottor Manson, eroe dei minatori, traviato dal successo ma riconquistato a una sofferta rettitudine.
Un volto singolare, caratterizzato da quelle due ciglia spesse e nerissime, una notevole presenza scenica e una voce molto particolare, bassa, un po’ sgranata, sensuale, la voce con cui avrebbe modulato il celeberrimo duetto Parole parole… (1971)  con la grande Mina, nonchè la poesia  Se  di Kipling.
Quella voce e la sua capacità di farsi seguire, di comunicare,  l’avevo già scoperta io, in anteprima. Negli anni Sessanta, per i documentari narrativi ai quali mi dedicavo, dapprima come ghost director e poi come autore-regista, si usavano di solito due voci, una “fredda” per le parti descrittive o scientifiche, una “calda” per quelle narrative. Per queste seconde il mio speaker privilegiato era Riccardo Cucciolla, principe dei doppiatori e ottimo attore. Ma per la Storia della bomba atomica da presentare al Prix Italia 1963 - che poi vinsi - feci ricorso ad Alberto che impiegai successivamente in altre mie inchieste.
Del resto aveva iniziato la carriera come “voce radiofonica”. Fu proprio lui a raccontarmelo. A Genova, dove condivideva il leggio, ma da ultimo arrivato, con uno speaker d’origine tedesca, voce perfetta e metallica quanto fredda e impersonale, il quale torceva il naso di fronte alle grossolane – secondo lui – esibizioni del novellino, pronosticandogli un breve futuro: “con quella voce sporca dove vuole andare?” Caso  singolare a quello speaker dalla voce corretta quanto fredda e impersonale – di cui ometto il nome – avevo affidato le “parti scientifiche” della stessa inchiesta.  
Dal punto di vista umano, una persona come Alberto, simpatico ed estroflesso, amico di tutti, aveva due soli difetti: fumatore accanito e accanito consumatore di caffè. “Ne prendi troppi !” -  gli obbiettavo – “Ma me li faccio fare lunghi, così fanno meno male.” Gli tolsi l’illusione: “Guarda che la caffeina è la stessa!”
Popolarissimo come attore di sceneggiati (i gialli di Francis Durdbridge, 1970-71), ricercato come “voce”, Alberto sarebbe diventato anche un conduttore garbato ed elegante accanto al fenomeno Mina negli spettacoli del sabato sera (Teatro 10, 1971) diretti da Antonello Falqui. Solo il cinema lo respinse, eccezion fatta – forse – per  Il sicario di Damiani, 1960. Ma in quegli anni la cosiddetta “Settima Arte” mostrava una sorta di spocchiosa idiosincrasia nei riguardi degli attori televisivi e, con pochissime eccezioni, li relegava, se del caso, in prestazioni insignificanti.
Chiudo con un aneddoto: a tal punto la voce di Alberto si era “saldata” alle mie inchieste che, quando mi sposai nella cattedrale della mia città, molti presenti continuarono a ripetere agli assenti che c’era anche Alberto Lupo, garantito!, lo avevano visto. Potere della suggestione!
Poi, nel 1977, arrivò l’ictus che spezzò la sua carriera e da cui non si riprese più. 
(Leandro Castellani)




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