ALBERTO LUPO
(1924-1984)
Negli
anni Sessanta-Settanta fu il personaggio più popolare della nostra tv, posizione
confermata da un referendum fra i telespettatori. Merito soprattutto della Cittadella (1964) di Cronin-Majano in
cui Alberto era il dottor Manson, eroe dei minatori, traviato dal successo ma
riconquistato a una sofferta rettitudine.
Un
volto singolare, caratterizzato da quelle due ciglia spesse e nerissime, una
notevole presenza scenica e una voce molto particolare, bassa, un po’ sgranata,
sensuale, la voce con cui avrebbe modulato il celeberrimo duetto Parole parole… (1971) con la grande Mina, nonchè la poesia Se di Kipling.
Quella
voce e la sua capacità di farsi seguire, di comunicare, l’avevo già scoperta io, in anteprima. Negli
anni Sessanta, per i documentari narrativi ai quali mi dedicavo, dapprima come
ghost director e poi come autore-regista, si usavano di solito due voci, una “fredda”
per le parti descrittive o scientifiche, una “calda” per quelle narrative. Per
queste seconde il mio speaker privilegiato era Riccardo Cucciolla, principe dei
doppiatori e ottimo attore. Ma per la Storia
della bomba atomica da presentare al Prix Italia 1963 - che poi vinsi - feci
ricorso ad Alberto che impiegai successivamente in altre mie inchieste.
Del
resto aveva iniziato la carriera come “voce radiofonica”. Fu proprio lui a raccontarmelo.
A Genova, dove condivideva il leggio, ma da ultimo arrivato, con uno speaker d’origine
tedesca, voce perfetta e metallica quanto fredda e impersonale, il quale torceva
il naso di fronte alle grossolane – secondo lui – esibizioni del novellino, pronosticandogli
un breve futuro: “con quella voce sporca dove vuole andare?” Caso singolare a quello speaker dalla voce
corretta quanto fredda e impersonale – di cui ometto il nome – avevo affidato le
“parti scientifiche” della stessa inchiesta.
Dal
punto di vista umano, una persona come Alberto, simpatico ed estroflesso, amico
di tutti, aveva due soli difetti: fumatore accanito e accanito consumatore di
caffè. “Ne prendi troppi !” - gli
obbiettavo – “Ma me li faccio fare lunghi, così fanno meno male.” Gli tolsi l’illusione:
“Guarda che la caffeina è la stessa!”
Popolarissimo
come attore di sceneggiati (i gialli di Francis Durdbridge, 1970-71), ricercato
come “voce”, Alberto sarebbe diventato anche un conduttore garbato ed elegante
accanto al fenomeno Mina negli spettacoli del sabato sera (Teatro 10, 1971) diretti da Antonello Falqui. Solo il cinema lo
respinse, eccezion fatta – forse – per Il sicario di Damiani, 1960. Ma in
quegli anni la cosiddetta “Settima Arte” mostrava una sorta di spocchiosa idiosincrasia
nei riguardi degli attori televisivi e, con pochissime eccezioni, li relegava,
se del caso, in prestazioni insignificanti.
Chiudo
con un aneddoto: a tal punto la voce di Alberto si era “saldata” alle mie
inchieste che, quando mi sposai nella cattedrale della mia città, molti presenti
continuarono a ripetere agli assenti che c’era anche Alberto Lupo, garantito!,
lo avevano visto. Potere della suggestione!
Poi,
nel 1977, arrivò l’ictus che spezzò la sua carriera e da cui non si riprese
più.
(Leandro Castellani)
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