lunedì 4 febbraio 2013

LA MAGIA DI SPOON RIVER



Una stazione ferroviaria, crocevia di esistenze che si consumano in una sosta, lunga o breve, nell’attesa di un treno che passerà veloce come la vita. In questa metaforica sosta tre personaggi reduci da un pranzo di nozze attendono il treno che li riporterà alla vita-città. “Lui” spento farfallone un po’ immaturo, ragazzo non cresciuto; “lei”, ragazza un po’ nevrotica che sogna una sistemazione e non solo sentimentale, sempre rimandata, e “l’amico” ottusamente consolatorio. E qui, provocati dalla magica apparizione della piccola custode delle esistenze, che spazza via i sogni con una vecchia scopa, risorgono i fantasmi di vite vissute. E sono gli epitaffi poetici di Edgar Lee Master, gli stessi che Thornton Wilder orchestrò circa ottant’anni or sono nella sua “Piccola città”.
La commedia alterna con sapienza il  piano in prosa dei dissidi a tre, che conserva una sua pungente e caustica autonomia, con quello poetico dello Spoon River, anche se l’innesto non sempre è felice e forse non è sufficiente ad operare la saldatura il personaggio simbolo della “custode”.
Ma il risultato è sempre intelligente e i tre personaggi principali vivono compiutamente: il “lui” fragile e un po’ schoizzoide di Luca Scapparone, “l’altro” torpido e un po’ sminchionato di  Francesco Bonelli, che è anche felice autore e regista dello spettacolo, la “lei” di Melania Fiore, appassionata e disillusa, ma pronta a rimettersi in gioco. In particolare Melania disegna con la consueta e sempre più ricca sapienza attorale il personaggio dolce-amaro di Adriana dosando con rara abilità gli sconfinamenti nel grottesco, intendendo per grottesco la capacità di trasferire o sublimare il dato reale in irreale o surreale, e viceversa di conferire al dato surreale connotati di preciso realismo. Senza dimenticare la dolce presenza di Desy Gialuz nel personaggio trait-d’union fra presenza e poesia.

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