mercoledì 12 giugno 2024

LEANDRO CASTELLANI - LINEA

 


Da quando si era instaurato il nuovo potere della linea? Da appena due mesi o da duemila anni? Come saperlo, dato che il passato non esisteva più? Scomparso assieme alle vecchie anticaglie, quali l’intelligenza artificiale, gli avatar, i cellulari multifunzioni, il computer con il saltellante mouse eccetera eccetera. Tutto scomparso definitivamente, per sempre, sostituito dalla “linea”, quella dimensione sottile, forse solo immaginata o virtuale, neppure rintracciabile digitalmente. Non era indispensabile toccarla o vederla, bastava solo pensarla, immaginarla, sognarla, perché tutti i problemi della vita attuale venissero risolti. E non solo i tuoi, ma quelli di tutto il tuo mondo, perché la linea pensava a tutto, risolveva tutto, poteva trasportarti nel punto più lontano di questo o di altri paesi, crearti attorno una famiglia, una comunità, un paese o sostituirteli in un batter d’occhio. Non servivano più le abilità tecniche, e nemmeno le mani, gli attrezzi di qualsiasi vaglia e mestiere. Restava la gioia di vivere  assistiti dalla linea, che era madre e figlia, padrona e serva.

Linea senza inizio né fine, forgiata in un metallo che sembrava argento ma non lo era, o forse oro ma non lo era, o forse traslucido diamante ma non lo era, o forse qualcos’altro. La linea sempre disponibile, più che ai tuoi comandi, ai tuoi pensieri, al più strambo e irrealizzabile dei tuoi desideri. Ormai impossibile connettersi con il più o meno deprecabile passato, come pure cercar connessioni con il futuro, che peraltro era impossibile prevedere o anticipare. Dunque restava solo questo presente, che spegneva i bisogni del corpo e dell’anima, le angosce ma anche i desideri.

Come venirne fuori, almeno per un attimo? Il nostro ipotetico personaggio pensò di chiederlo alla onnipotente linea, ma quella non rispose, del resto come avrebbe potuto tradire il suo scopo esistenziale? E poi quell’ipotetico personaggio aveva già tutto. O meglio, non aveva più bisogno di niente. Una famiglia, che farsene? Una comunità con una frotta di falsi amici a rovinargli l’esistenza? Un paese da sentire come proprio e da amare, con i suoi tesori pseudoartistici decrepiti, le sue statue sbocconcellate e polverose, le sue pitture scolorite dall’umidità o avvizzite dal tempo? Una patria, imbelle oppure rissosa, o prona ai poteri più forti, che poi si riducevano ad uno, il potere dei soldi?

Viaggiare, per dove e perché? Per ritrovare altre vite, incomplete come la sua, altre insofferenze e desideri? Desiderare, che cosa? Non c’era la linea a pensava a tutto? Non era bello sentirsi privi dei bisogni e dei desideri? Il mondo, grazie alla linea, stava cambiando profondamente, anzi, era già cambiato prima che lui stesso ne potesse avere contezza.

Avrebbe voluto e dovuto ringraziarla di cuore quella sua linea prodigiosa, onorarla con fiori, corone e candele accese, forse adorarla. Ma l’ineffabile e inafferrabile linea, inodora  incolora e insapora - le tre caratteristiche che, in tempi passati, si attribuivano all’acqua - non accettava ringraziamenti o preghiere, inafferrabile e indefinibile com’era. Non restava che assuefarsi di buon grado a quella nuova esistenza, senza più dilemmi, dissidi, risse e guerra, e ringraziarne la linea. E lasciarsi vivere nell’attesa di quell’indefinibile e inquietante futuro, peraltro inesistente perché nel frattempo poteva esser già diventato passato, e quindi scomparso negli abissi del mondo ante-linea..

 

***

Poi, un bel giorno - ma anche il giorno, essendo una scansione del tempo, non esisteva più - la linea divenne inquieta e, suo malgrado, finì per imbattersi e incrociarsi con altre linee erranti, forse scaturite da altre fantasie distorte o malate. Insomma la linea generò un volume, un solido, un cubo, un cilindro, un cono, un dodecaedro o qualcosa del genere. Si moltiplicò da sola, senza che nessuno avesse mai tentato di farle nulla. Per virtù propria, per una sorta d’impensabile e assurda partenogenesi, sentì l’irrefrenabile necessità di creare una dimensione più ampia, che l’inglobasse e l’arricchisse, non più lineare ma spaziale, fatta di linee che delimitassero uno spazio! Più facile chiamarlo “cubo”. Da cosa nasce cosa, e i cubi si moltiplicarono sino a colmare tutto lo spazio e la realtà immaginata, o solo pensata, divenne una sorta di sterminato “scatolificio”,  dove i cubi andavano a disporsi come in altrettanti  scaffali: fatti conto un negozio di calzature o l’ala di un supermercato senza insegne ed etichette. E nacque lo strano mondo nel quale abitiamo tutt’ora, in forma “multi-cubica”, che consente - oppure obbliga - a disporre e ordinare in forma cubica anche i pensieri e le fantasie, non più confuse e forvianti ma esemplari, iterative, sempre diverse perché sempre uguali. E in forma cubica si dimensionarono non solo gli oggetti, le abitazioni, le città, ma anche le esigenze vitali, i lavori, i mezzi di sussistenza, e anche le fantasie e i desideri.

 

 

 

 

 

 

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