venerdì 8 settembre 2017

PINOCCHIO IL GIORNO DOPO




“Com’ero buffo quand’ero burattino!” Già, ormai quel periodo buio se l’era lasciato alle spalle. Avrebbe avuto la vita felice che la buona fata gli aveva promesso. Non supponeva che all’arrivo della prima missiva, tramite Servizio Postale, indirizzata al signor Pinocchio Di Geppetto, appena tre giorni dopo la sua trasformazione, sarebbero iniziate le noie. L’Istituto Scolastico lamentava la sua reiterata assenza, di cui incolpava il genitore trascurato. Ma c’era ben altro: a che titolo si era esibito presso il teatrino del commendator Mangiafuoco? Precario, contratto a progetto, cococò? Dov’era la sua partita IVA, il versamento dei contributi e tutto il resto? A quale ufficio aveva esibito denunce, moduli, ricevute e cartacce varie? E i cinque zecchini a che titolo li aveva incamerati? Aveva evaso le tasse? Le trattenute e tutto il resto? E dov’era il contratto di lavoro stagionale per il periodo in cui aveva prestato servizio da cane presso il contadino? La tassa di soggiorno per la permanenza al villaggio turistico dei balocchi?
I giandarmi, gli odiati giandarmi se li vedeva già fuori dell’uscio, assieme all’ufficiale giudiziario, alla polizia tributaria, agli ispettori del lavoro eccetera eccetera.
Pinocchio raggiunse di nuovo la dimora eterea della Fata dai capelli turchini e implorò l’immediato ripristino alla precedente condizione esistenziale, cioè il ritorno all’età felice del burattiname. Sì, di legno, voleva essere tutto e interamente di legno, con buona pace di babbo Geppetto a cui peraltro avrebbe risparmiato tante preoccupazioni e nuovi guai che, alla sua età, potevano essergli fatali.

(L.C. "Dracula a Roma", Opposto ed. 2006)



lunedì 4 settembre 2017

AMARSI A GRADARA



Se vi interessa incontrare i protagonisti della più famosa "love story" del pianeta - dopo quella di Romeo e Giulietta, naturalmente - cercate di transitare, ma non prima di mezzanotte, sotto il lato est delle mura di Gradara, la parte più vecchia e incontaminata del vecchio Castello.
Gradara, in provincia di Pesaro ma a pochi passi dalla romagnola Cattolica, è una delle mete più frequentate dal turismo adriatico. Dunque non provateci durante l'estate, quando le note fragorose delle discoteche seminate nei dintorni, le gincane  automobilistiche al chiaro di luna o i cori dei turisti tedeschi inneggianti al vino e alla piadina sarebbero in grado di neutralizzare anche i gemiti dei fantasmi più volonterosi.
Invece, nelle notti d'inverno, quando la nebbia si trasforma in brina e il respiro in nuvola di fumo, non è improbabile che riusciate a udire distintamente i lamenti di Paolo e Francesca, intrecciati in un unisono d'amore. Riprova indiscutibile che il dramma cantato da Dante avvenne proprio qui, nonostante i dubbi insinuati da qualche storico puntiglioso. La "prova fantasma" è la più convincente.
Ma procediamo con ordine. Siamo nel secolo tredicesimo. Francesca, figlia di Guido da Polenta, è una fanciulla dolcissima e  bellissima,  che  si  affaccia  a  quel  mare di sentimenti tremori
speranze e sogni in cui naviga l'adolescenza. La vogliono sposa a un Malatesta, la potente famiglia che domina Rimini e la Romagna. Ma il Malatesta prescelto ad impalmare l'eterea fanciulla ravennate è un essere deforme e ignobile, Gianciotto, brutto nel corpo e cattivo nell'anima, come vuole la migliore tradizione favolistica, una sorta di ripetizione casalinga dello shakespeariano Riccardo III. Consapevole della sua scarsa avvenenza, Gianciotto ritiene più opportuno indicare il fratello Paolo, famoso invece per la sua bellezza, quale latore della richiesta ufficiale alla corte di Ravenna.
Dal solito spioncino, immancabile in ogni castello medioevale, Francesca riesce a spiare il bel Paolo a colloquio col genitore.
- Chi è quel giovane così leggiadro?, chiede arrossendo alla fedele nutrice. E la fedele nutrice, svanita e un po' ruffiana come tutte le nutrici, risponde:  - Ma è il Malatesta, venuto a chiedere la tua mano!
Francesca cade nell'equivoco - contatti diretti fra i due giovani non sono previsti dallo sbrigativo cerimoniale dell'epoca - e riserva immediatamente un'ampia porzione del suo cuore all'incantevole cavaliere.
Concluse per procura le nozze, Francesca raggiunge il Castello di Gradara e scopre l'inganno. Il suo sposo non è il bel giovane intravisto dallo spioncino della reggia paterna ma il bieco e deforme Gianciotto.
Glissiamo sulla luna di miele, presumibilmente agghiacciante, e arriviamo al cuore del dramma. Ci soccorre Dante: "amor che a nullo amato amar perdona..."
Paolo il bello ha la sciagurata idea di proporre come sollazzevole passatempo per la misera cognata la lettura degli amori di Lancillotto e Ginevra, una sorta di "soap opera" dell'epoca, potremmo dire. Il libro - è inevitabile - funziona da miccia e da scintilla, e i due giovani scoprono l'amore.
Scoppia il dramma. Gianciotto fiuta il tradimento. Ci sarà stato il solito Jago a sobillarlo? La storia non lo dice. Fatto sta che il marito cornificato finge una partenza, torna indietro, si apposta dietro l'uscio della camera fatale, sorprende i due amanti.
Per sottrarsi al pugnale del fratello, Paolo si getta dalla finestra ma rimane impigliato al ferro dell'imposta, Gianciotto gli è addosso, Francesca si frappone fra i due e accoglie la pugnalata in pieno petto. Poi il gobbo assassino finisce anche il fratello rivale...
All’epoca la storia dovette far scalpore se Dante, assiduo frequentatore della casa Da Polenta, ne fu così impressionato da riservarle uno dei momenti più alti e suggestivi della sua Divina Commedia.
Per secoli la tradizione ha ritenuto teatro del delitto il castello di Gradara, dove vi mostreranno ancora la camera di Francesca, l'ingresso segreto, l'uscio dell'agguato, la finestra e così via.
Ma c'è di più. Nel 1790 fu rinvenuto nel castello lo scheletro di una donna ricoperta di gioielli e vesti preziose: era Francesca? Francesca!, decretò il popolo, fugando ogni dubbio. E Paolo? Non voleva la tradizione che i due amanti fossero stati sepolti nella stessa tomba? E se poi qualche malvagio li avesse separati? Troverebbero piena giustificazione i periodici lamenti notturni dei due infelici innamorati che invocano la riunificazione!
La prova incontrovertibile che vuole Gradara sede della tragedia sono proprio quei lamenti - lamenti d'amore, è fuori discussione - che di tanto in tanto, quando tacciono le discoteche, si elevano strazianti dagli spalti. E se una notte o l'altra apparissero anche i fantasmi, completi di ricche vesti, oppure avvolti in un lenzuolo svolazzante o, meglio ancora, nudi come mamma li fece, stando alla tavola illustrata del Dorè? La locale benemerita pro-loco offrirebbe sicuramente una lauta ricompensa al fortunato... visionario.