venerdì 20 novembre 2015

MARGHERITA PUSTERLA di Cesare Cantù




Nell’arco di un decennio (1930-1940) vedono la luce i tre esempi più celebri del “romanzo storico lombardo”, “Marco Visconti” di Tommaso Grossi, “Margherita Pusterla” di Cesare Cantù e “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni. Tutti figli più o meno illegittimi del filone storico-avventuroso varato in Gran Bretagna dal prolifico Walter Scott. Fra i tre, il libro del Manzoni prende decisamente le  distanza dagli altri due. Innanzi tutto per il linguaggio: evidentemente Grossi e Cantù non hanno “risciacquato in Arno” i loro scritti. E poi per la presenza nel capolavoro manzoniano di un mondo “proletario” assente negli altri, soprattutto impegnati a narrare le avventure e le disavventure di nobili e cortigiani alla corte viscontea, che oltre ad avere un biscione sullo stemma, alberga numerose vipere. Abbiamo riletto “Margherita Pusterla” di Cesare Cantù, una storia per più versi affascinante: c’ è un cattivo che più cattivo non si può, ed è Luchino Visconti, una giovane sposa che più bella e buona non si puo’, ed è Margherita. E inoltre uno sposo fragile e vagheggino, un perverso uxoricida, una serie di intrighi politici, false accuse e pseudo-processi, figli ripudiati e poi inseguiti, un giudice e un boia che usano la mannaia a sproposito, il tutto basato peraltro su un’ineccepibile documentazione storica. Curioso come questi testi ottocenteschi finiti nel dimenticatoio e resuscitati dai recenti ebook, il più delle volte disponibili gratuitamente, ci facciamo rimpiangere una narrativa, colta ma soprattutto popolare, molto più ricca e meno stitica della contemporanea. Sarebbe un’operazione senza dubbio discutibile  quella di rivedere questi testi con un’ottica moderna, cioè operando alcuni tagli di brani pleonastici per renderli più accessibili? Qualche anno fa tentai l’operazione su un romanzo storico (“Il bravo” di Fenimore Cooper) traendone una sceneggiatura che giace tuttora inedita e ignorata nel mio capace cassetto. Ma a parte questo volonteroso conato personale vorrei concludere che, se l’inflazionato e un po’ “detestabile” romanzo del Manzoni ha guadagnato l’immortalità, le altre due opere citate non sono certo da gettare all’ortiche: in fatto di offerte di lettura, anche popolari – si pensi a Carlina Invernizio e alla Marchesa Colombi, per fare due esempi – l’aborrito Ottocento la sapeva lunga. 
                                                                                                  (Leandro Castellani)

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