martedì 15 marzo 2011

A CACCIA DI FANTASMI


La prima parte, Viaggio nel brivido”, è un’escursione semiseria alla ricerca di quei luoghi, nel nostro paese, in cui si presume continuino ad albergare queste singolari creature: fantasmi d’amore, fantasmi d’acqua dolce e salata, fantanimali, fantasmi a guardia di tesori nascosti, fantasmi che si celano negli anfratti più remoti o che circolano in mezzo al traffico della capitale…Fantasmi tenebrosi, ma anche eccentrici e un po’ sbarazzini…

La seconda parte è dedicata ai “fantasmi della fantasia”, cioè a tutti quei personaggi, “sponsorizzati” dalla narrativa, dal cinema, dalla leggenda, in cui ci imbattiamo quotidianamente, cioè i fantasmi come nostri originali compagni di viaggio: da Alien a Batman, a James Bond, a Dracula, E.T. e così via: un piccolo dizionario dei “fantastici” miti contemporanei.

La conclusione – semiseria anch’essa – può essere questa: c’è bisogno di fantasmi come c’è bisogno di fantasia . E ci conviene vivere con loro, quale utile antidoto a un eccesso di realtà, sempre più deprimente.

Una lettura insolita e divertente che può prestarsi a un’utile riflessione.

domenica 6 marzo 2011

Umorismo e Comicità


«Dio scoppiò in sette risate e nacquero i sette dèi che abbracciano il mondo. La settima volta rise di un riso di gioia e nacque Psiche»: così viene detto in un trattato ermetico greco-egizio sulla creazione. Quanti modi, quanti stratagemmi, quante formule per suscitare il sorriso o la risata, impiegati lungo il XX secolo nella narrativa “di consumo” come nel cinema italiano? E quanti nomi, tuttora al centro dell’attenzione critica o divorati in un breve volgere di tempo? Questo volume costituisce un indispensabile inventario della cosiddetta narrativa umoristica nonché una rapida rassegna dei personaggi comici che il nostro cinema ha messo in campo e allineato nelle passate stagioni. Le due parti di cui si compone presentano due dimensioni dello stesso fenomeno disegnando un panorama poco battuto dalla critica, in alcuni casi una prima indispensabile ricognizione.

lunedì 28 febbraio 2011



Vorrei definirlo un pastiche - un pasticcio - questo “Occhi da cinema”, mio recente parto letterario dove si alternano – apparentemente fra le icone del cinema muto, da Rodolfo Valentino a Pearl White, da Maciste a Cretinetti, a Douglas Fairbanks. E inoltre alcune variazioni, decisamente scanzonate e irriverenti, su personaggi e fatti del nostro cinema: espedienti al limite della truffa, crediti millantati, incantatori. Il tutto retto e cucito da una singolare falsariga, vale a dire l’avventura di un aspirante-divo, nei remoti anni venti del secolo scorso, che dalla provincia muove alla conquista del cinema. Quell’attore era mio padre, Aldo Castellani in arte Lucio Mario Dani, protagonista in Francia di un colossal ante litteram, “Robinson Crusoe”. Ne ho tratteggiato la vicenda in toni talora un po’ patetici, il più delle volte decisamente umoristici.
Un libro, questo “Occhi da cinema”, edito da Ibiskos-Ulivieri, di intrigante lettura che non somiglia ad altri e al quale una qualificata giuria, presieduta da Ugo Gregoretti, ha assegnato il Premio Domenico Rea-Città di Empoli 2009.
Ricco di rare e inedite foto d’epoca, il volume allinea, in un’appendice particolarmente riservata ai cinefili, una serie di documenti singolari: contratti, vertenze, giudizi critici. Completa il volume una testimonianza preziosa, cioè il testo integrale di una lunga intervista a Francesca Bertini, “la donna che inventò la diva”, raccolta da Maria Grazia Giovanelli e presentata al Festival di Venezia 1968.
Hanno detto del libro:
PUPI AVATI
Caro Castellani,
ho letto con grandissimo piacere la biografia di suo padre, di quel Lucio Mario Dani che divenne celeberrimo per i suoi “occhi da cinema”. I suoi ricordi sono preziosi quanto intimi, di un cinema d’altri tempi che sapeva sedurre tutti, dagli strati più umili della società fino agli intellettuali.
ENRICO VAIME
Caro Leandro,
che bel libro! Una ventata di creatività mascherata da “storia” (ma fino a un certo punto).

lunedì 14 febbraio 2011

Bandiera sì, bandierone no

Ho la massima stima e ammirazione per il Presidente Napolitano, uno dei migliori Presidenti che l’Italia abbia avuto. E comprendo il suo generoso tentativo di cogliere ogni occasione per proporre il “volemese bene” in una fase di violento “tutti contro tutti”.

Un po’ più perplesso nei confronti delle manifestazioni e della retorica per il 150mo anniversario dell’unità d’Italia. Potrebbe essere un’utile occasione per una rivisitazione che a tanta distanza di tempo mi sembrerebbe più che legittima.

Vent’anni fa circolava a Roma una calunniosa diceria: che il Ministro Spadolini avesse bloccato in extremis una biografia denigratoria (forse di Piero Chiara) in cui si narrava come l’Eroe dei Due Mondi si fosse fatto crescere i capelli per nascondere le orecchie mozzate, punizione usata in Sud America per i ladri di cavalli, e come avesse favorito, se non provocato, la morte della povera Anita che intralciava la sua fuga. Che dire poi di Vittorio Emanuele II, padre della Patria, ma soprattutto… di molti italiani e del Cavour che parlava e scriveva solo in francese? Ma bando ai gossip d’annata. Ben altre sono le rivisitazioni che andrebbero fatte.

Nel mio sceneggiato “Le cinque giornate di Milano” (1970) aveva cercato di narrare, appoggiandomi a tanto di documenti, come anche all’interno della compagine rivoluzionaria vivessero diverse e talora del tutto divergenti posizioni politiche e come il tardivo intervento di Carlo Alberto fosse stato auspicato e sponsorizzato dai gattopardi borghesi di Milano per bloccare tentazioni repubblicane e “democratiche”.

In anni più recenti (1992) con i docu-film di “Italia chiamò” cercavo di narrare le vicende di alcuni “padri della patria”, da Camillo Cavour, abile e un po’ cinico “tessitore”, al lombardo Alessandro Manzoni, strenuo propugnatore di Roma capitale, a Carlo Cattaneo, lucido e profetico – quanto ignorato - propugnatore dell’ideale federale, buona per l’Italia nonché per l’Europa, a Luigi Settembrini e la sua idea di Costituzione, eccetera eccetera. Modesti tentativi personali, Ma oggi per parlare del Risorgimento occorrerebbe un nuovo Giampaolo Pansa.

Il sito “Casting aperti” comunica, con la consueta ironia, che si cerca un attore in grado di impersonare e animare un pupazzo a cui un conduttore spiegherà la storia dell’Unità d’Italia. O tempora o mores” Unità d’Italia, anzi idea d’Italia, oggi vuol dire – o vorrebbe dire – diritto alla pacifica convivenza, corresponsabilità, democrazia, libertà, crescita e – innanzi tutto - rimozione dei tanti ostacoli per l’intelligenza, per il lavoro, per la creatività. E con questa Italia della gente – comunque e da chi sia stata creata e costruita – che dobbiamo fare i conti, sperando solo che i Grandi e i Potenti non ci mettano ogni volta i bastoni fra le ruote.

domenica 23 gennaio 2011

TRE LIBRI FANESI

Il primo è “Avrei voluto parlare d’amore” di Francesca Tombari (Damster edizioni, €.14,00). Rare volte, anzi direi mai, ho letto della vita contadina una descrizione così profonda, così amara, così vera, senza la retorica dolciastra che inquina di solito, in maniera più o meno evidente, ogni rievocazione di quel mondo.

Ambientata nel secolo scorso, prima e durante gli anni del fascismo, questa storia spietata e crudele, rattenuta dal pudore di una scrittura nitida. Storia violenta e di violenze, di abbrutimenti ma anche di sentimenti sottili, di amori violati, di sogni spezzati. Sono personaggi delineati con fine intuito psicologico, che si esercita in particolare nello scavare senza falsi pudori l’animo femminile. Ma soprattutto è un mondo - usi costumi consuetudini – restituito con vivacità e verità senza nessuna concessione al folklore, con un’indagine minuta - che chiamerei di sapienza archeologica - sul lavoro contadino, un lavoro che rendeva dure e coriacee le mani come i sentimenti. Un libro da leggere e acquistare, sempre che lo si possa scovare fra la messe di libracci di comici-tv, thrilleracci e logorroiche diatribe di pseudo-impegnati tirate fuori a getto continuo dai cosiddetti Grandi Editori.

Il secondo libro – stavolta scusate l’immodestia - è “Occhi da cinema” (Ibiskos-Ulivieri, €.15,00), altrettanto difficile da scovare, anche se spero che, dopo la presentazione al Circolo Bianchini il 2 marzo prossimo, le locali librerie provvedano a fornirsene (l’unica locandina che ho visto sin ora è presso la libreria La Scuola di via Roma). E’ un libro fanese ma anche un po’ romano. Come Francesca si è reinventata una drammatica vicenda partendo dai pochi elementi raccolti verbalmente, io mi sono reinventato, in base a poche tracce di memoria, la storia di un giovane fanese che, negli anni Venti, muove da Fano alla conquista del cinema. Quel giovane era mio padre, attore e regista del periodo muto per un breve giro di anni. Ma ho intrecciato la sua vicenda eroicomica alla storia altrettanto semiseria e un po’ crudele del mondo della Settima Arte e dei suoi miti. Spesso fasulli.

Il terzo libro ha un titolo “in lingua”, “Fano Music story” di Paolo Casisa (Fiacconi editore, €.27,00). Una messe di foto, note, informazioni che tolgono dalla polvere della dimenticanza intere stagioni di sogni e di realtà, rivelando all’oggi distratto come questa “piccola città” sia stata ed è prodiga di talenti musicali. Un album di famiglia da leggere e sfogliare.

Sarà grazie al nume tutelare di Fabio Tombari o a quello di Giulio Grimaldi se a Fano nasce e prolifica la voglia di scrivere, contagiosa come buon virus.