domenica 22 febbraio 2009

Perchè Sanremo - ahimè! - è Sanremo

Privo di alternative televisive praticabili e anche per legittima curiosità ho visto la serata conclusiva di Sanremo. Una liturgia faraonica ben condotta da un Bonolis furbo come sempre e in gran forma, contornato da ospiti e attrazioni che suppongo strapagate e commentato dai periodici squittii del direttore di rete in prima fila.
Passando alla gara e alle canzoni la desolazione più assoluta e, secondo tradizione, tutto risaputo, a cominciare dal vincitore, prima ammesso fra i big, poi sponsorizzato dall'Imperatrice di Mediaset, presente di persona, coronato da quel televoto di cui "Striscia la notizia" ha scoperto il machiavello. Non prendetevi-ci per il culo! Secondo e terzo un Povia furbacchione come sempre, gran sfondatore di porte aperte, e un generoso Sal de Vinci.
Le mie preferenze personali: primo Marco Masini con una canzone "alla Masini", autenticamente "cattiva" fra tanta melassa, secondo e terzo o viceversa Fausto Leali e Al Bano, due evergreen con due canzoni ben fatte. Tutto il resto - per dirla con Shakespeare - è silenzio.

sabato 21 febbraio 2009

Le prime pagine di “Sodoma e Gomorra”, un grottesco quasi italiano di Leandro Castellani

INCIPIT

Ad Abramo l’annuncio era arrivato nella miniera meno solenne possibile: un SMS, un messaggino, comparso di botto sul suo cellulare. Di provenienza indefinita, ma perentorio, apodittico. Non c’era da dubitare che giungesse da un essere importante, anzi dall’Essere Supremo. Preceduto e seguito da un insolito jingle che faceva pensare allo Zarathustra di Strauss e ai Carmina Burana di Orff, i due brani musicali più assimilabili alle trombe del Giudizio. Diceva il messaggio: “AFFRETTATI A DARE LE DIMISSIONI E AD ABBANDONARE TELEPLUS PERCHE’ IO SPEGNERO’ LE SUE INIQUITA’ SOTTO UN DILUVIO DI FUOCO!”
COME SODOMA E GOMORRA?, aveva chiesto Abramo, digitando sollecitamente. Risposta di una sola parola: ESATTO!

1.
L’ORA DEI SEGRETI

L’aveva inventata lei. Erano anni che sognava una trasmissione tutta sua, di cui fosse creatrice e sacerdotessa. Il suo sogno sin da bambina, quando vedeva alla tv giovani donne, all’epoca sobriamente vestite, presentare spettacoli leggeri o introdurre personaggi seriosi. E prima, insieme o dopo di loro, altre ragazze, più disinvolte e succinte, che ballavano, cantavano e strizzavano l’occhiolino alla telecamera. Ecco, lei avrebbe voluto riassumere i due ruoli, essere somministratrice di notizie e insieme oggetto d’amore e di seduzione.
Si era applicata per anni a raggiungere lo scopo, ma all’inizio aveva dovuto accontentarsi di far da segretaria a un conduttore del piccolo schermo, vale a dire la ragazza incolore che, deferente, porge al Maestro la scaletta degli ospiti per il suo talk-show, debitamente corredata da tutte le notizie sui medesimi: il cabarettista da lanciare, l’autrice di un libro di poesie stampato in cinquanta copie, il pittore informale raccomandato da un amico gallerista, la disgraziata di turno, stuprata, con le corna del marito, con un figlio rapito e così via.
Grigia e incolore all’aspetto, si era rivelata non aliena da misteriosi e imprevedibili poteri di seduzione. Fatto sta che, grazie a quelle occulte virtù, saggiamente amministrate e svelate soltanto al principale, Giovanna era riuscita a fare il salto di qualità: non più o non solo segretaria ma anche la donna di quell’anchor man che pure era solito frequentare e possedere femmine meravigliose.
Cosa aveva mai da offrirgli l’incolore segretaria? Forse un inedito ruolo di schiavo in quei giochetti erotici appetiti da un uomo che aveva sempre fatto la parte del dominatore, una forma di raffinato sadismo-masochismo, un segreto potere di seduzione androgena, lei con quel fisico acerbo più simile a un membruto ragazzotto di provincia che ad una silfide da passerella, una di quelle creature tutto sesso esibito sino alla nausea che frequentavano la tv.
Così, attraverso il crescente dominio sullo schiavo-padrone, non le era stato difficile conquistare un piccolo spazio televisivo che poi, una volta ottenuto, aveva difeso con i denti, riuscendo a dilatarlo progressivamente grazie all’abilità d’accaparrarsi i consensi di un pubblico sempre più vasto. E sì, indubbiamente ci sapeva fare!
Anche il suo fisico si era via via aggiornato: tinti i capelli, arrotondate le curve necessarie. Da ragazzetta insignificante a giovane donna desiderabile, assurta addirittura a sex symbol nell’immaginario dei giovani ingenui e degli adulti smaliziati.

Aveva creato “L’ora dei segreti”. Un programma di un’ora abbondante, poi straripato ad occupare l’intero “prime time” televisivo. Confessioni di giovinette e giovanotti, le une e gli altri saggiamente selezionati da apposita équipe col preciso mandato di preferire le lacrime ai sorrisi, spaziando sull’intero territorio della penisola, ma con spiccate preferenze per il profondo Nord e il profondo Sud. Le fanciulle, protagoniste o testimoni di tristi e crude vicende, venivano trasformate, prima di apparire in video, in telecreature tutte simili fra loro: occhi bistrati, chiome morbide e fluenti, labbra disegnate con rossetti molto sobri, un look adolescenziale per perversi voyeur. E i ragazzi, palestrati, muscolosi ma non troppo, volti tetragoni a una qualsiasi espressività, sguardi spenti da stalloni stremati, capelli ridisegnati dal gel. O al contrario efebi un po’ femminili, tali da scatenare tenerezze materne e sfrenate concupiscenze.
Era l’ora dei segreti. Le ragazze confidavano a Giovanna i loro amori incompresi, le delusioni, la condizione di facili prede dell’aggressività maschile, stupri, incesti, violenze fisiche e psicologiche, ma tutto riportato alla misura di inquietudini esistenziali, con continue allusioni al sesso ma senza pronunciare parole troppo esplicite, danzando attorno alla volgarità ma senza mai sfiorarla. E gli amanti instabili, i seduttori, gli aguzzini e le vittime, i familiari, gli amici e le amiche erano tutti chiamati in causa, convocati in studio a suffragare o smentire le confessioni. Sullo squallido universo in versione patinata lo sguardo comprensivo della conduttrice, unica a detenere una verità che distillava in soluzioni ovvie, in consigli malsani, ammantati di moralismo ipocrita, offrendo il sollievo di una riconciliazione, di una lacrima, di un bacio e di un abbraccio, o ratificando una separazione, il distacco definitivo, un addio per sempre!
Un successo. Schiere di fanciulle adeguavano look e costume di vita alle regole dettate dalla conduttrice che, nei casi più scabrosi, preferiva tacere e cedere la parola a uno stuolo di cosiddette persone di buonsenso, piazzate in bell’ordine sulle poltroncine dello studio, lasciando loro il pronunciamento della sentenza definitiva mentre lei si limitava a guidare il coro e gli assolo, accovacciata sul suo seggiolino o confusa nella massa degli spettatori allupati.
Ricorre in questi giorni il quarantesimo anniversario del primo Leone d’oro veneziano assegnato a un documentario, anzi a un’inchiesta. Si tratta de “L’enigma Oppenheimer”: Leandro Castellani allora giovanissimo debuttante nella equipe del neonato Secondo Canale RAI, aveva intervistato il “padre della bomba atomica” nonché l’uomo che Oppenheimer aveva ingiustamente accusato di spionaggio negli anni di Los Alamos. Un’inchiesta esemplare che avrebbe vinto nello stesso anno il Premio Marconi per la miglior opera televisiva italiana e il Gran Premio della Critica al Festival d Montecarlo.
Fu il “primo” dei “primati” televisivi di Leandro Castellani. Inventore dell’inchiesta storica, inventore del docu-drama, da lui battezzato Teatro-inchiesta, autore del primo grande sceneggiato storico (Le cinque giornate di Milano).
Iniziata da giovanissimo la carriera di Leandro Castellani è proseguita fra Premi e successi. Sua la co-regia delle due più fortunate edizioni del serial Incantesimo (2001-2002), suo il breve videofilm che ha vinto nel 2005 il premio per la miglior opera europea nel prestigioso Festival di Chang-chun (Cina). Circa duecento ore di grandi sceneggiati e film tv, due onorevoli prestazioni per il grande scherno, “Il coraggio di parlare” premiato a furor di popolo a Villerupt in Francia, a Giffoni e in un’altra dozzina di rassegne minori, e quel “Don Bosco” con Ben Gazzara che contiene il più lungo ed elaborato piano-sequenza della storia del cinema.
Un autore di tutto rispetto, che all’attività di autore-regista unisce un numero di importanti pubblicazioni nei settori più diversi.
Eppure non è un presenzialista, non ha mai frequentato la critica militante né i cosiddetti “salotti”: non lo vediamo nei talk-show, dove avrebbe molto, forse troppo, da raccontare, e neppure nominato – omissione che ha dello scandaloso - nel grande volume RicordaRai, monumento faraonico ai cinquant’anni di tv.
Vivo, vegeto, agguerrito, e operante in settori minori della produzione, sembra quasi i settori “maggiori” lo evitino. Ne sa troppe? Uno dei tanti misteri d’Italia su cui Carlo Lucarelli potrebbe indagare.
(Agenzia Telenews due, 1996)