mercoledì 29 novembre 2023

LEANDRO CASTELLANI - IL CINEMA DEGLI ANGELI

 

 

IL   CINEMA  DEGLI  ANGELI 

(un mio saggio di vent'anni fa)  

 


"Gli angeli sono stati creati da Dio - scrive Robert Bolt, l'autore del dramma su Tommaso Moro, Un uomo per tutte le stagioni - per facilitare il contatto fra la terra e il cielo. Dunque intermediari fra l'umano e il divino." Ed è logico che, in un mondo separato dalla Trascendenza di cui si è quasi perso il senso, essi tornino a svolazzare anche al cinema con le ali fornite loro dall'immaginario collettivo.

Con indifferibili impegni di custodia d'anime, gli angeli sciamano periodicamente dal Paradiso dirigendosi verso il precario pianeta degli uomini: sono pallidi, eterei, timidi come fanciulli, prediligono abiti candidi, non ostentano quasi mai le loro ali, scelgono valigette da commessi viaggiatori dove serrare il loro campionario di bontà e sono caratterizzati da una sorta di provvisorietà che li rende inquieti, un po' incerti in un mondo che non è precisamente il loro, desiderosi di compiere in fretta la propria missione, riprendere il volo e tornare alla base (come gli irreprensibili angeli-carabinieri di Miracolo a Milano, 1951): così il cinema è solito presentarci da sempre gli esseri più misteriosi e affascinanti del nostro patrimonio culturale e non solo religioso.

Angeli che talvolta è facile confondere con gli gnomi, con i folletti o addirittura con Harvey (1950, di Henry Koster), il coniglio immaginario che ne rappresenta insieme la versione pagana e la traduzione in termini psicanalitici.

Ma ci sono le eccezioni, registi "importanti" che si sono accostati al tema cercando di darne una lettura personale, "usandolo" per esprimere aspirazioni, stimoli o necessità interiori: l'angelo-amico di Frank Capra, l'angelo giudice di Bunuel, gli angeli impassibili di Win Wenders o l'angelo-metafora di Pasolini, per fare solo alcuni esempi... 

L'angelo come conferma tangibile dell'intangibile, mediatore di grazie e miracoli che peraltro necessitano della collaborazione dell'uomo. L'angelo "di seconda classe" di cui narra Frank Capra ne La vita è meravigliosa (1947), è una sorta di fragile vecchietto un po' pasticcione, limitato nei suoi poteri e non alieno da debolezze "umane", eppure in grado di "mostrare" al suo assistito - grazie a un prodigio o alla semplice saggezza dell'anziano? - quali sarebbero le tragiche conseguenze di un gesto malsano come il paventato suicidio e quale è invece l'inesauribile ricchezza del dono della vita. La tipica carica d'ottimismo di Frank Capra incarnata, come di consueto, in un personaggio-demiurgo - un giovanotto strampalato o più spesso un vecchietto pazzoide - stavolta denuncia la nostalgia di una guida, di un mediatore di certezze, di un padre o di un fratello maggiore che possa risolvere i nostri dubbi e le nostre angosce con quel di più che il solo buonsenso non può dare. 

Agli antipodi dell'angelo-amico di Frank Capra si colloca L'angelo sterminatore (1962) di Luis Bunuel, un ospite inatteso quanto indesiderato. La minaccia della piaga biblica paralizza i ricchi convitati di un festino: se varcheranno la soglia del banchetto per uscire all'aperto il castigo si abbatterà su di loro. L'angelo giustiziere ci attende fuori dell'uscio o è dentro di noi, è un essere trascendente a paralizzarci o è la nostra stessa coscienza?  

Ed eccoci agli angeli di Pasolini, ispirati alla tradizione popolare delle processioni religiose e delle sacre rappresentazioni e calati nel suo universo sottoproletario: fanciulle "plebee", che diremmo  asessuate se non fosse per quel guizzo di precoce malizia nello sguardo, indossano i panni della convenzione - camicione bianco e alucce piumate (Uccellacci e uccellini, 1966) - per trasformarsi in creature celestiali. Un camuffamento un po' grottesco, quasi una mascherata se si vuole, eppure, come accade in ogni sacra rappresentazione, il paludamento fa parte di un rito, la rappresentazione postula l'evocazione dell'evento: l'angelo come ineffabile tramite di un messaggio misterioso (si pensi all'annuncio del Vangelo secondo Matteo, 1964).

Negli anni Novanta un nuovo turbine angelico plana sullo schermo, a cominciare da Un angelo da quattro soldi (1990) di John Cornell, con quel ladro, vittima di un incidente, che torna sulla terra in veste di angelo per dimostrarsi finalmente una "brava persona", per proseguire con Uno sguardo dal cielo (1996) di Penny Marshall, con quell'angelo "di colore" che impartisce lezioni d'umanità a un pastore demoralizzato, e poi ancora con  Michael (1996) di Nora Ephron, con quell'angelo "imbranato", pasticcione e gaudente, che riesce, a suo modo, a riallacciare sopiti legami d'amore fra le creature affidategli. E potremmo continuare a lungo: in Vi presento Joe Black (1998) di Martin Brest - remake de La morte in vacanza (1934) di Mitchell Leisen - fa la ricomparsa l'angelo nero della morte, che ha il volto serafico e insieme tormentato del giovane Brad Pitt, interprete dell'analogo personaggio che in Intervista col vampiro (1994) di Neil Jordan scontava l'inesorabile condanna dell'immortalità.

Anticipatore della "nuova ondata" è Win Wenders con Il cielo sopra Berlino (1987): i suoi "angeli tristi" sono la cartina di tornasole di un mondo al declino - i precari equilibri planetari crolleranno appena due anni più tardi, assieme al "muro" -, sono i tragici reporters delle crisi interiori e del disagio della società post-industriale, singolari emissari del trascendente in un orizzonte sempre più opaco che investe e coinvolge anche loro: "...la loro bellezza - scrive Alessandro Cappabianca - consiste nell'oscura nostalgia che sentono per una condizione che pure non hanno mai provato, pronti come sono a rinnegare la fluidità dei loro voli invisibili, plananti al di sopra di contingenze, vecchiaia e dolore, in cambio dell'amaro peso del vivere."

Gli angeli di Wenders rinunciano così al "privilegio di vedere dall'alto, sentire i pensieri del profondo annullando le barriere della fisicità, camminare invisibili; le creature incorporee 'sacrificano' il loro privilegio eterno per salvare gli uomini, si incarnano per amore." (Enrichetta Buchli)

Sei anni più tardi, nel 1992, Wenders ritroverà i suoi eroi nel film Così lontano, così vicino: uno degli angeli, divenuto "troppo umano", ha abbandonato le vie del cielo mentre l'altro confida ancora in un mondo rinnovato. Ma quando le speranze andranno deluse dovrà tornare alle consuete mansioni: limitarsi a "vegliare" sulle creature affidategli.

Noteremo per inciso come il cinema americano abbia tentato il remake del primo film di Wenders con City of Angels (1998) di Brad Silberling, non riuscendo peraltro a riproporne la tensione metafisica nè l'inquietudine esistenziale.

Se anche il cinema si fa periodicamente ammaliare dalle  avventure di esseri più o meno eterei, risolte in termini di "fiaba" o di apologo, questo non sta ad indicarci il disperato desiderio di una "guida" in un mondo senza certezze? Dov'è finito l'ottimismo costruttivo di Capra? Dal New Deal alle crisi degli anni Novanta molta acqua è passata sotto i ponti.

Una conclusione si può trarre, con Dario Viganò, da tale vivace fioritura di angeli: "In questo passaggio di millennio, perduta la sicurezza delle ideologie, l'uomo vive la fatica di trovare un senso a cui destinare se stesso. E mentre il mondo celebra le continue conquiste della scienza e della tecnica, esso continua a essere visitato dalla morte, ineluttabile compagna di viaggio."

Dunque l'urgenza di aggrapparsi a qualcosa o qualcuno per salvarsi dal paventato naufragio.