sabato 29 aprile 2023

LEANDRO CASTELLANI - TEMPO DI CONSUNTIVI

 

 


Un acuto erudito di storia e cose fanesi, e non solo, Luciano Aguzzi, fanesissimo emigrato a Milano, mi colloca – bontà sua – fra i pochi scrittori della passata generazione, accanto a Luciano Anselmi e Peppino Bonura – entrambi miei coetanei e cari amici di gioventù – muovendomi nel contempo due censure: primo, di essermi fidato troppo di editori non in grado di diffondere e promuovere adeguatamente i miei scritti; secondo, di non annoverare, fra i miei numerosi scritti, quel punto di riferimento, il cosiddetto “capofila” o “pietra miliare” che in qualche modo introduca e giustifichi le altre. Due amichevoli rimproveri che accetto senza obbiezioni.

Cominciando ad allineare sin troppi volumi e volumetti nello  scaffale riservato alle mie cose, credo giunto il momento di tentare un consuntivo, cominciando con l’affrontare la solita angosciosa domanda: quali fra i miei libri considero migliori e comunque ineliminabili ? Tenterò di rispondere in tre puntate.

2005, “Lavinia”, mio  debutto nella narrativa tout-court, edito da “Il lavoro editoriale”. Un sogno provoca nel protagonista un dejà-vu e questo, a sua volta, un ricordo così vivo e pregnante da dar vita a un “doppio se stesso” che, come tutti i “doppi” esige una scelta drastica e dolorosa fra un passato idealizzato, un presente precario e un futuro da vivere o da rivivere. Un paio d’anni più tardi dal “racconto lungo” trassi un’ardita sceneggiatura, quasi tutta ambientata a Fossombrone. Il titolo non era male: “Sognare d‘inverno la primavera”, ma poi non ne feci nulla.

2006,  Il profeta”, titolo scippato a Gibran, dato che mi ero già auto-scippato quello che doveva essere il titolo originale, ”La terra dell’attesa”, usato per un libretto edito dal mio amico Alberto Berardi. Sospetto possa essere la mia cosa migliore: la storia ispirata all’avventura umana di due preti, un costruttore e un profeta, come falsariga per raccontare la vita della società e della Chiesa ante-concilio nella provincia italiana anni Sessanta, la chiesa delle parrocchie, degli oratori, della supplenza politica, messa a frante del messaggio ineffabile del profeta.  Edito da una strana casa adibita a pubblicazioni religiose ma un po’ ereticali e ormai fuori diritti. Alberto Berardi, nipote del “profeta” alla cui vicenda il libro si ispira, mi invitò a farne un rigoroso film “povero”, in bianco-nero. Altro sogno rimasto nel cassetto.

2010, “Occhi da cinema”, la vita e il sogno giovanile di mio padre, Aldo Castellani, in arte Luco Mario Dani, divo del cinema muto per  troppo brevi stagioni, ricostruita ma soprattutto immaginata e inventata sulla base di pochi lacunosi ricordi. E insieme una meditazione-variazione, gioiosa quanto un po’ amara, sul mio lavoro e le sue-mie illusioni. Fu elegantemente pubblicato da una solerte signora toscana, nella sua editrice quasi personale - Ibiskos-Ulivieri -   quale testo vincitore di una selezione intitolata a Domenico Rea, premiato dalla Regione Toscana e presentato in più occasioni da un regista-collega, di vecchia conoscenza ma di fresca amicizia, come Ugo Gregoretti. E ricevette l’entusiastico plauso del mio amico Enrico Vaime. Ancora premi vari, segnalazioni eccetera. Alla storia strampalata di mio padre, con variazioni e sconfinamenti vari, avevo avuto il piacere di allegare una lunga intervista fatta da mia moglie, Maria Grazia Giovanelli, alla somma diva del “cinema muto, Francesca Bertini, da lei  scovata e riportata in luce. Un caro ricordo, ma anche un libro singolare, fuori linea, come per altro quasi tutta la mia narrativa.

2017, “La ballata dello schioppo e della croce” (Annulli editore), una piccola, media o grande svolta. Abbandono il narrare “iusta propria principia” per raccontare in termini nuovi, da narratore o cantastorie popolare, la storia di due ribelli del secolo scorso: un brigante – Mason dla Bona - ed un profeta – Davide Lazzaretti - , saltando passaggi e chiose, come si trattasse di mettere in scena con eroi popolari – o se permettete con burattini – due singolari avventure personali. Negli stessi anni ho varato un altro modo di raccontare storie vecchie e nuove  mediante “versi e versacci”,  che poi diverranno una costante variazione del mio lavoro, con il definitivo abbandono di ricognizioni storiche più meditate – da Lavinia Della Rovere a Ettore Majorana, a Dolores Prato eccetera. Tra i due “modi” una curiosa mediazione è rappresentata dalle tre fortunate edizioni di una biografia, fatta rivivere per “testimonianze” e per “sentito dire”, quella di Secondo Casadei, re--inventore della musica popolare romagnola.

2022, “Il trasloco” (Bertoni editore): affrontare un trasloco vuol dire perdere dimensioni e direzioni conosciute per precipitare in un mondo di cui si fa fatica a rimettere insieme i pezzi, il tutto sotto le ali minacciose di un mostro antidiluviano. Ad incontrare mio padre come fosse mio coetaneo e Peter Fonda come fosse mio auriga personale per muovermi a casaccio fra luoghi e volti conosciuti, o forse no. Sino ad accorgerci che traslocare significa anche attendere che un qualche giudice avalli il consuntivo della nostra esistenza. E risorge quel ”doppio” spuntato fuori dal mio racconto d’esordi

2023, “La valigia di Hiroshima, memorie di un fabbricante di immagini”. Un’autobiografia, ma talmente esemplare che ho deciso di stamparmela da solo, o quasi. Foglietti di memoria, postati per gli amici di Facebook, ricordi di una vita trascorsa, memorie familiari legati soltanto a una frase captata in casa, magari di soppiatto. E poi la cronistoria – volta a volta divertente o amara, lasciando perdere anche la mia abituale  ironia - di mezzo secolo di piccole o grandi battaglie. Con relative vittorie e qualche sconfitta. Volevo salvare il tutto e farne un occasione di lettura, da consumare a pezzi e bocconi nelle serate, come quelle che un tempo si usava fare in famiglia. Memorie edite da solo con l’aiuto di Amazon, presentate e sponsorizzate da solo, a Fano ovviamente. Tutto da solo, ma con il supporto dell’ottima giornalista Anna Rita Joni e con l’aiuto del mio impagabile figliolo, Aldo E. Castellani, che ha disegnato la doppia copertina.

2005-2023: tutto qui!? A contarli tutti, a partire dal remoto 1963, data della mia prima pubblicazione, sarebbero circa sessanta volumi e volumetti, fra saggi, tuffi nella storia e compagnia bella oppure una ventina abbondante limitandosi alla sola narrativa, toccando tutti i generi disponibili secondo un mio vezzo congenito. Oltre all’auspicabile riedizione di una rara e insostituibile “Opera Omnia”, composta dai cinque o sei titoli sopra ricordati, ci sarebbe poi da por mano a una nutrita antologia per raccogliere alcuni miei “imperdibili” racconti. Posso abbozzarne l’indice?

Mio bisnonno e i “giganti” a Fano, avventura più volte raccontata, forse anche troppo. L’incontro nella mia casa natale con un buon fantasma nato in Scozia e trasferitosi da noi. L’avventura del mio vampiretto personale, sperduto fa i deceduti dalla capitale. La casa terremotata per eccesso di ricordi. Vitruvio e il mistero della cripta, alla scoperta di una Fano ancora segreta o magari inesistente.  E poi la storia della strega, unica pagina “erotica” del mio castissimo repertorio, e le altre storie magiche della mia Selva. A pensarci bene,  “un voyage autour de ma chambre”: ma questo non vale per tutti gli scrittori? E poi - ultimo almeno per ora - “La macchina sputasalsicce”, un apologo, fresco di giornata, della nostra società onnivora di valori, sentimenti, speranze e affini.

Ho trascurato di citare i cosiddetti scritti “di genere”, ai quali ho dedicato tempo spazio e passione, da quel  breve romanzo-fiume  più che degno di meritarsi una “fiction” non banale e scontata come “La via degli amori” ai “gialli giallissimi” come “Veleni in paese”, alle avventure estive come “Caschè”, ai sortilegi vestiti da incubi come “Dracula a Roma”, agli orrori dell’horror come “Le notti del babau” che uscirà entro l’ano in corso. Tutto qui e altro ancora lungo il cammino … “per una selva oscura”.

Impossibilitato – visto il perdurare della mia benemerita vecchiaia – ad attendere la definitiva ristampa-edizione di ciò che di meglio ho saputo produrre, affido il tutto alla virtù e alla solerzia dei miei futuri fortunati postumi editori.