martedì 7 febbraio 2023

Leandro Castellani - CAROLINA INVERNIZIO O "DEL ROMANZO"

Non me la sento certamente di fare il biografo di questa scrittrice piemontese, nata a Voghera e morta a Cuneo, ma legata soprattutto alle stagioni del suo salotto torinese, dove accoglie con uguale disponibilità signore della Torino-bene e personaggi di cultura. Né pretendo di narrarne la non esaltante storia di signora borghese, moglie di un capitano dei Bersaglieri coinvolto nella guerra d’Abissinia, amante sin dall’infanzia della scrittura, caduta un po’ per caso e un po’ per vocazione nel vortice del romanzo popolare o d’appendice o  neo-gotico che dir si voglia. Ma è certo che i suoi centoventitré romanzi - diconsi centoventitrè - per chi riesca a scovarli ancora e soprattutto a leggerli, sono uno dei più imprevedibili ma garantiti divertimenti narrativi lasciati in eredità al lettore odierno, ma solo a quello curioso e irrequieto. Il romanzo gotico o neo-gotico innanzi tutto, illustre e insieme dimesso precursore  del genere horror. Come resistere al fascino nero della “Sepolta viva” o de “Il bacio di una morta” o de “Il cadavere accusatore”? Ma direi che nei suoi romanzi i colori ci sono tutti, dal rosa dei sentimenti al rosso della violenza e della passione, all’azzurro delle speranze. Questa “onesta gallina della letteratura popolare” – come la definì Antonio Gramsci - razzolò nelle più diverse dimensioni e direzioni, senza aver timore di sfidare l’eccezionalità al limite dell’inverosimile, gioiello raro in  una narrativa un po’stitica e supponente come quella italiana, sia coeva che successiva. Accogliamoli dunque con spirito questi lacerti di una società borghese, non schizzinosa, rispettabile emblema di un mondo a cavallo fra due secoli, schivo e trapassato.Parlare della mia ultima lettura di un’autrice che certo non mi è nuova, Carolina Invernizio, placida (forse) signora borghese che produsse, più di un secolo fa, romanzi a getto continuo, centoventitré,  nella sua nutritissima carriera. Favorita, al tempo che fu, da centinaia di lettori e più ancora di lettrici, sbertucciati gli uni e le altre dai cosiddetti critici e letterati che le rimproveravano di essere melodrammatica e ripetitiva, letterariamente  approssimata. Classiche obbiezioni da critici con la puzza al naso che accomunavano nella stressa condanna tutti o quasi gli scrittori di “feuilleton per signora”, italiani e foresti, in specie transalpini. Grazie alla mia avveduta ignoranza l’ho scoperta molti anni fa e dei suoi romanzi sono riuscito a scovarne e leggerne una decina o poco più. Primo miracolo caroliniano: nel giro di poche righe iniziali cacciarvi tanta materia da farne un romanzo a sé e questo sano eccesso d’invenzione e fantasia procede capitolo dopo capitolo, riga per riga, toccando e superando gli angusti confini del verosimile. Un mondo borghese  ma ampiamente visitato a partire dalla più sordida povertà, con un fitto incrociarsi dei destini e dei legami parentali. Poche righe ancora e scopriremo che il supposto “buon  signore” è in realtà un bieco figuro e questi cambiamenti di prospettiva interesseranno almeno un’altra ventina di personaggi che incontreremo via  via: “il gioco dell’amore e del caso”, avrebbe detto Marivaux. Smarrimenti e agnizioni, favorite da amuleti al collo, monete spezzate e altro ancora. Quale scrittore, italico e no, può offrirci una fantasia così ricca e  indomita? Ed ogni personaggio descritto – o meglio, dipinto - con un minimo di parole, spesso pedissequamente ripetitive: quante creature eteree e caste,  quante bellezze dallo sguardo insinuante, quanti  gentiluomini ammiccanti e insinceri, quanti ganimedi seduttori e quante diafane  e ingenue fanciulle pronte a cadere nei loro infìdi giochi? Fate attenzione! Il mondo frivolo e allegramente sconsiderato che vive nel coevo vaudeville e tradotto nelle divertenti  cosiddette “pochades”, quel mondo borghese di zerbinotti, cocottes e gioiosi scherzi d’amore, rivisitato nella sua faccia nascosta, nella sua essenza segreta, svelandone la livida e talvolta torbida realtà. La “belle  époque” tradotta  in “turbe époque”.

Non è facile rintracciare tutti i romanzi della Invernizio. “Cuore  di mamma” è quello che sto leggendo attualmente, uno dei tanti altri cuori esplorati dall’autrice: di donna, di madre, di operaio, di bimbi.… Spero di rintracciarne  altri. Qualche anno fa proposi alla sua città e provincia natale di realizzare un video-film che ne raccontasse la singolare esperienza umana e ne rinfrescasse il ricordo mettendo in  scena un suo squisito, involontariamente  satirico, “Atto unico”. Silenzio totale! Il Piemonte è ricco di altre stelle evidentemente più brillanti. Peccato. Continuerò il mio modesto compito di appassionato lettore e “cacciatore” dei suoi romanzi.