Se dovessi scrivere una fiction per
la televisione italiana non saprei da che parte cominciare. La prima tentazione
sarebbe quella di pescare fra la lista dei personaggi noti, appena defunti o
addirittura vivi. Un Papa, non c’è che l’imbarazzo della scelta, purchè ci si
limiti al nostro secolo o a quello appena trascorso. Cosa faceva il Papa
attuale, o uno di quelli defunti da non troppo, a sei anni, a dieci, a
diciotto, a ventisei, a trentacinque? Come nella vecchia agiografia di Jacopo
da Varazze, dove i grandi santi sono già santi appena nati o subito dopo e,
dalla più tenera età, si portano in capo, con motivato orgoglio, la loro brava
piccola inossidabile aureola. Lasciando in pace Papi e Santi, ci sarebbero i politici: la giovinezza di De
Gasperi, o quella di Togliatti, oppure la vita di Pertini (strano che a Pertini
non ci abbia ancora pensato nessuno). Stilisti e stiliste già abbondantemente
praticati. Poi i sindacalisti, i capitani d’industria, qualche poeta purchè sufficientemente
“maledetto”. Di pittori italici attuali o recenti, molto conosciuti a livello
popolare non ce ne sono, quindi lasciamo stare la filiera. Si potrebbe provare
con Guttuso, ma chi se lo ricorda?
E allora libriamoci sull’onda della
pura invenzione. Una fiction di quelle interminabili, a puntate, bissabili o
triplabili negli anni a venire purchè sostenute da prevedibile successo e da
adeguata promozione. Tentiamo.
Una giovane extracomunitaria approda
sui nostri lidi. Nel naufragio dello zatterone, pilotato da un bieco scafista, che
tentava di traghettare una messe di clandestini sino alle acque italiane, sono
morti suo marito e i suoi due figlioletti. In preda alla disperazione, la
giovane libica si è gettata a nuoto ed è quasi riuscita a toccar la riva. Poi
le forze le son venute meno ma è stata sollecitamente soccorsa da un pescatore
con la sua barchetta, debitamente fornita di lampara.
Così la ragazza sfugge alle procedure
d’identificazione, controlli medici, avvolgimento in copertina argentata e via
di seguito. Il pescatore la trasferisce nella sua piccola capanna situata fra
gli scogli siculi dove ospita anche un suo cugino del continente che si è
recato da lui per dimenticare una delusione amorosa.
La ragazza - il volto debitamente
incorniciato dallo shador - è sfinita,
sofferente. Il giovane ospite, che sta studiando medicina ed è prossimo alla
laurea, vincendo la naturale ritrosia della ragazza, le presta le prime cure.
Intanto nel porto di Lampedusa lo
zatterone, salvato in extremis dalla motovedetta nostrana, ha sbarcato i malconci
superstiti. Si fa strada fra i corpi macilenti dei migranti un giovane
disperato alla ricerca di sua moglie. Credendolo morto, dopo la perdita dei due
piccoli, la donna si è gettata in mare ed è scomparsa fra le onde. Può essersi
salvata, ha toccato terra, qualcuno l’ha vista?
Sino a qui ci siamo. Quale
programmista televisivo, quale critico letterario se la sentirebbero di non
gradire una vicenda attuale, con gli esuli disperati, gli italiani ospitali, l’accoglienza
immediata e l’integrazione a un passo: insomma una storia politically correct e
anche commovente…
Da questo momento la mia fiction
seguirebbe due vicende parallele. Quella della giovane libica esausta e disperata,
soccorsa e guarita dal laureando che riesce a rimetterla in sesto restituendole
nel contempo la forza di vivere, e quella del marito alla disperata ricerca di
sua moglie. Con i relativi sviluppi: fra la giovane libica e il promettente
laureando in medicina nasce un tenero sentimento che potrebbe preludere a
qualcosa di più, come le puntate successive potrebbero incaricarsi di
raccontare. E intanto, nel campo di prima accoglienza, il marito trova conforto
in una fanciulla compaesana e co-salvata: insieme decidono di abbandonare il
campo per cercare un lavoro saltuario nel paese ospitale.
Come autore di fiction saprei
benissimo cosa fare, quali personaggi introdurre via via: una giovane infermiera, un esoso datore di
lavoro, un bieco caporale arruolatore di disperati, un poliziotto comprensivo
ma fino a un certo punto, un sindaco compiacente, un criptoterrorista… E poi lancerei
il personaggio del marito con annessa amica alla ricerca di lavoro in un vero e
proprio road movie risalendo l’Italia e toccando di preferenza le regione fornite
di generose e comprensive “film commission”, la Puglia, le Marche, su su sino
al Piemonte.
Ma come scrittore con la Esse
maiuscola sarei in serio imbarazzo: troppo stereotipi, troppi luoghi comuni,
troppi passaggi obbligati, troppi occhiolini strizzati all’uopo.
Eppure debbo proseguire, non fosse
altro che per terminare questa specie di bislacco raccontino. Come mi comporto?
Faccio ricongiungere moglie e marito libici spezzando le due tenere storie
d’amore che mi sono già fiorite sulla tastiera del computer? Troppo crudele e
anche un po’ troppo “lieto fine”. Faccio proseguire le due nuove storie
d’amore? La libica che si trasforma via via nella raffinata ed esotica consorte
del medico alla moda, abbandonando shador e tradizioni? Ma poi un bel giorno
una libica-doc che funge da badante al vecchio nonno dello sposo le ricorda le
sue origini, la sacra religione dell’Islam, il tradimento della sua cultura,
un’integrazione troppo a buon mercato. Che farà la giovane sposa? Riconquisterà
il suo ripudiato shador?
Sull’altro versante avrei da seguire
la vicenda dell’ex-marito che continua il suo difficile esodo su e giù per lo
stivale prima di spostarsi in Germania, in Francia o in altro paese
comunitario. Per lui la vita è dura. Un extracomunitario “cattivo” gli propone
la facile via del vizio. Spacciare droga. Si fatica poco e si guadagna bene. Il
giovane tentenna, starebbe quasi per aderire, ma....
Una retata. L’innocente ex-marito
viene arrestato come spacciatore. In galera. La trama mi si complica nel
cervello. E se a difenderlo dalle accuse accorresse l’angelo dei migranti, cioè
l’avvocatessa degli extracomunitari, che poi sarebbe quella giovane paladina a
suo tempo naturalizzatasi italiana grazie al matrimonio con un medico? Insomma
la sua ex-moglie?
E se il buon clandestino cadesse nelle
grinfie di un Iman “cattivo” che recluta terroristi da spedire nei luoghi
caldi, l’Irak, la Siria, o per compiere atti di terrorismo nei paesi
dell’Occidente?
E se inventassi anche qualche
protagonista nostrano per arricchire il cast e non farne soltanto un racconto
di extracomunitari? Che so: il figlio di un datore di lavoro rapito? Da chi?
Perché? Un ricatto, una vendetta? Mi ci vorrebbe l’ispirazione. O meglio
d’ispirazione ce ne ho anche troppa. Ci vorrebbe il coraggio di battere altre
storie: perché non dedicarsi a una bella vicenda alla Jane Austen per esempio.
Con trepide fanciulle da marito e stagionati rubacuori… Sicuramente mi
divertirei di più. Ma non è proprio il caso. A quelle ci pensano già le
telenovelas.
(Leandro Castellani)